Di La.Ra, maggio 2014
Incontrare Vittorio non è semplice, nonostante la vecchia amicizia. Bisogna scegliere: o lo si rincorre intercettando per le vie di Bari mentre sfreccia sulla sua adorata Cinquecento vecchio modello (quando piove perché con il sole svicola via con la sua bicicletta), o durante i suoi famosi trekking in giro per il mondo, oppure tentando di prendere appuntamento per un caffè se non è “in faccende affaccendato” tra i suoi editori, mille presentazioni e nuovi spunti per i prossimi libri. Romano di nascita ma residente a Bari da numerosi anni, ha una laurea in materie letterarie, e un curriculum che si divide tra una vita spesa sotto il segno del giornalismo, con reportage dall’America, Asia, Africa ed Europa, documentari televisivi e radiodrammi per la RAI; l’insegnamento e la vita da scrittore, con numerosissime pubblicazioni. In tutto questo, a soli 72 anni, trova il tempo per rilassarsi con la pittura (ha all’attivo svariate mostre personali e collettive), la speleologia, gli amici paracadutisti dell’Anpd’I (Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia) e la sua passione per la gastronomia “made in Italy”.
Lo scrittore e giornalista Vittorio Stagnani
Vittorio, a che età hai iniziato a fare il giornalista e perché ti sei avvicinato a questa professione?
Ero ancora sui banchi di scuola dove primeggiavo nello svolgimento dei temi. Molto, ma molto meno nella partita doppia e nella compilazione di bilanci. Cominciare a scrivere per giornali scolastici è stato il primo passo verso il “mestieraccio”. Ho cominciato giovanissimo a collaborare da Bari con varie importanti testate, ad agenzie. Più avanti nel tempo in RAI e poi con televisioni locali.
I settori? Cronaca nera, giudiziaria, costume, turismo, gastronomia, tradizioni popolari, reportage di viaggio in mezzo mondo. Non mi posso dire giornalista affermato (anche se ricco di esperienza) perché non sono mai stato politicamente disponibile e, anzi, ho punzecchiato non pochi “santi in paradiso”. Destino ha voluto che la vita mi riservasse un mestiere al quale non avrei mai e poi pensato, essendo stato uno studente piuttosto scapestrato: l’insegnamento. E per insegnare cosa? Giornalismo, of course, in una scuola media (Melo da Bari) dove si sperimentarono le LAC (Libere Attività Complementari). Gli allievi il pomeriggio, oltre alle materie curriculari frequentavano attività come teatro, coro e orchestra, fotografia e… giornalismo. “Le Api” era il bimestrale che curavamo a scuola, e fu occasione per svolgere con le mie “apine” straordinarie esperienze di reportage in Puglia e in altre regioni, lavorare in tipografia (quando ancora la stampa era a caldo), fare interviste, inchieste… E tante letture di quotidiani e l’invito, sino alla noia, a leggere libri.
Tutte esperienze che m’ispirarono “Il seme e l’erba verde” (Bari, Editorialebari, 1978). Non abbandonai per l’insegnamento, il giornalismo anzi! All’epoca dicevo di essere fortunato perché facevo due bellissimi mestieri: insegnamento e giornalismo. Per amore dell’insegnamento decisi di laurearmi (a trent’otto anni!) in Materie Letterarie. La tesi? Sul giornalismo in Gran Bretagna, elementare Watson!
Quando il primo libro e come nasce questa tua capacità da “equilibrista”, considerato che sei passato a generi differenti con straordinaria abilità (dalla didattica, all’infanzia, alla gastronomia, fino a temi importanti come fenomeni criminali)?
Il mio primo libro è stato “Essenze Selvagge” (poesie) pubblicato a mie spese (Bari, ed. Nel mese, 1969). Vendetti tutte le 500 copie stampate e decisi che non avrei più scritto di poesia. Sono seguiti tanti altri libri: letteratura per l’infanzia (che poi è anche per adulti), romanzi, viaggi nel mondo, gastronomia, tradizioni popolari. Alcuni corredati da mie fotografie e acquarelli.
Sei autore di bellissimi libri sulla natura, in particolare quella pugliese e lucana. Un amore incondizionato per questi territori?
Ho scritto un primo “Puglia fuori strada” nel 1970 per i tipi delle Arti Grafiche Lecchesi. Otto ristampe. Più di recente con Progedit, è uscito con lo stesso titolo un altro libro con altri straordinari itinerari a piedi per chilometri in Puglia. Sempre per Progedit ho scritto con Corrado Palumbo, “Lucania Fuori Strada”, in corso di pubblicazione. Questa regione ha paesaggi di lancinante bellezza e, percorsa con lo spirito del trekking, ti fa scoprire monti, laghi, fiumi, mari che non meritano d’essere immortalati in banali cartoline ma stampati in ricordi e, appunto, in libri di avventura.
Tra le tue pubblicazioni ricordiamo anche “Sotto schiaffo” edito da Progedit, un libro dedicato al tema dell’usura, una sorta di fotografia di una realtà tragica ma realizzata con incredibile delicatezza.
E’ stato grazie alle mie esperienze di cronista di nera e di giudiziaria che mi fu possibile scrivere quel libro. Ebbi anche molto stomaco quando, per essere più addentro al dramma usura, mi feci raccontare da tanti… incravattati, le loro storie. Usai l’artificio di mischiarmi ai componenti della commissione che per conto della Fondazione SS Medici di Bari, interrogavano le vittime dell’usura per studiare il modo di aiutarle.
Racconti agghiaccianti!
E' vero che nel 1968 a Bari, con alcuni amici hai scoperto il fossile di una balena di 13 metri?
Verissimo. E’ stata tra le mie tante avventure per le quali ringrazio Dio, una delle più entusiasmanti. All’epoca facevo molta speleologia ed ero abbastanza abituato ad imbattermi in fossili, piccoli, non immensi come quel bestione nel canalone Lamasinata, a due passi dal mare. Ero con Enzo Indraccolo (passato a miglior vita molto giovane), Oreste Triggiani e Nicola Cervini. Notammo delle strane forme, sembravano quelle lasciate dai cingoli di un trattore. Con un sasso scalfii quel mostro e mi accorsi che era di pietra porosa come un osso. Ma di quale animale? Pensavamo a un dinosauro.
"Annalisa" il fossile di balena ritrovato da Stagnani e altri speleologi a Bari nel 1968
Che si trattasse di una balena risalente al Quaternario (un milione di anni fa), a dircelo fu Annalisa Berzi, famosa paleontologa fiorentina scesa a Bari per recuperare il fossile. All’operazione partecipammo anche noi scopritori e lavorammo per settimane sino all’estrazione del fossile, ora esposta nel Museo della Terra a Bari.
Ancora "Annalisa" in una foto dell'epoca
Non è bello dare della balena a nessuna donna. E invece, il cetaceo lo battezzai Annalisa, in onore della paleontologa che da toscanaccia (e per di più tutt’altro che… giunonica), prese la cosa con allegra disinvoltura.
Passiamo a una delle tue passioni, la gastronomia. Libri a tema ma anche un gran talento ai fornelli. Cosa non deve mai mancare nella dispensa di Vittorio Stagnani?
E nel tuo studio?
Verdure, ortaggi, legumi, baccalà (merluzzo bianco conservato sotto sale), pasta, pesce, olio EVO (Extra Vergine d’Oliva), fantasia, inventiva voglia di divertirsi, buon gusto e vino, apprezzabile sennò è meglio bere birra.
Nello studio, l’Artusi (non solo perché testo fondamentale di gastronomia ma anche perché sono per metà romagnolo) e poi molti libri e riviste da… fornelli. Ho in alta considerazione i testi, sacri anche questi, di Luigi Sada (lo considero un mio maestro) che è stato il massimo studioso delle tradizioni gastronomiche pugliesi.
Come sai nella nostra rubrica si lascia un pensiero ai lettori: una ricetta facile da realizzare. Tu quale ci regali?
Questa ricetta trae origine dalla tradizione pugliese dei contadini e dei pastori. E’ un piatto povero che può essere confezionato in ogni regione italiana purché si disponga di buone verdure e pane raffermo (proprio quello che solitamente buttiamo) e, invece, è riciclabile per un’infinità di ricette nazionali che qui non sto a elencare. E’ assai semplice ma per chi intendesse rivisitarla con l’aggiunta di alcuni piccoli accorgimenti, la ricetta resterà… ruspante ma decisamente più presentabile.
Il "Tortino alla Vis" servito in tavola per De Armas. (Foto BriS)
TORTINO ALLA VIS
Do gli ingredienti da "single". Per altri ospiti le dosi hanno da essere raddoppiate, triplicate e avanti così. E per l’encomiabile (o assai odiato cuoco) di un battaglione? Stesso ragionamento.
Ingredienti
Servono 300 grammi di rape pugliesi (ormai si trovano dappertutto), oppure bietole, radicchio.
Due fette di pane di semola raffermo;
Tre acciughe;
Due cucchiai di olio EVO (Extra Vergine d'Oliva), uno spicchio d’aglio, sale q.b. un peperoncino.
Si lessano le verdure in acqua salata e, quando a metà cottura, si aggiungono le fette di pane. In cinque minuti sono cotti. Scolate fino all’ultima goccia e versate in una padella dove, a fuoco lento, avrete fatto sfriggere le acciughe, l’aglio e il peperoncino. Saltate per qualche minuto e questo piatto unico da consumare bollente è pronto per essere accompagnato da un primitivo di Capitanata.
Variante
Per la ricetta più raffinata (quella in fotografia), ci vuole un condimento fondamentale: la pazienza. Oltre a pane e rape e gli ingredienti di cui sopra, procuratevi qualche fetta di lardo di Colonnata, pinoli o mandorle, pomodori secchi.
Cucinate pane e rape come detto, fate raffreddare e realizzate un tortino (servendovi di un porzionatore), intanto avrete frullato qualche pomodoro secco con olio, sale, un pizzico di zucchero, aglio, peperoncino. Disponete il tortino su un piatto da portata e… apparecchiatelo al vertice con qualche fettina di lardo arrotolate e un peperoncino. Completate tutt’intorno con gocce della salsa, pinoli o mandorle. Da gustare freddo con un rosato del Salento.
Nella tua vita hai dedicato molta attenzione anche al mondo dell’educazione e alla sfera giovanile, soprattutto quella più problematica. Considerata la situazione sociale odierna, cosa senti di raccomandare ai giovani con maggiore attenzione?
Oltre che alla “Melo” e al professionale “De Lilla” dove mi appiopparono una cattedra di psicologia della moda, ho insegnato presso la scuola media “Lombardi” al San Paolo di Bari, lettere, storia e geografia nei corsi serali per lavoratori con un’utenza di adulti e di ragazzi a rischio. Il San Paolo è un quartiere per tanti versi difficile e finito spesso in cronaca nera. Ai miei alunni davo insegnamenti non solo di materie curriculari ma anche di partecipazione alla vita del rione, della città, visitando spazi culturali, sede di giornali.
Ogni anno (per quindici anni), abbiamo portato in scena testi teatrali scritti a più mani, abbiamo messo in atto proteste gandhiane e redatto “Contrada Tesoro”, giornale di buoni intenti e di tante provocazioni.
Qual è la cosa più importante per un giornalista?
Fiuto, curiosità, autocontrollo, schiena dritta, l’ascolto, lo scrivere senza sbrodolarsi addosso, non guardare in faccia nessuno, assicurarsi della veridicità di fonti di notizie e indiscrezioni. Leggere, leggere, leggere.
Indiscrezioni. Quali i prossimi libri che prenderanno vita dal tuo “cassetto delle meraviglie”?
Ho finito di scrivere e di limare, limare, limare “Nero di seppia”, un noir ambientato a Bari e con un finale che è, persino per me, un pugno nello stomaco.
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