Di Andrea Fontana, del 03 luglio 2014
Da quando l’umanità ha cominciato a darsi un’organizzazione sociale sono nati i primi racconti (geo)politici. E così è stato per la lotta che quelle organizzazioni sociali hanno dovuto intrattenere per la supremazia e il mantenimento del potere. Re, sacerdoti, guerrieri si sono contesi i destini delle proprie comunità governando i popoli di cui erano alla guida con la spada e il racconto. Con la lancia e il simbolo. Con lo scudo e la narrazione. Per avere una supremazia narrativa nell’immaginario delle persone prima ancora che una subordinazione dei loro corpi. Oggi viviamo in un tempo in cui le geopolitiche globali con i loro assetti sono radicalmente mutate, ma non è cambiata la necessità di avere supremazia narrativa nell’immaginario sociale e politico di Comunità, Nazioni, Popoli.
Rilievo in pietra del simbolo storico della spada. Foto web
La supremazia narrativa nelle “battle of narrative”
Gli scenari d’influenzamento sono sempre più governati dalle tecniche di info-wars[1] e permeati del cosiddetto CNN factor[2]. In questi scenari si raggiunge il potere o detiene il controllo sviluppando “world narrative” cioè (racconto del mondo) o anche “discorsi supremi”, narrazioni sociali che sanno generare il senso del destino di donne e uomini, di comunità e Nazioni. Oppure banalmente lo destabilizzano agendo sulle leve economiche, sociali e psicologiche di quelle donne e di quegli uomini, di quelle comunità e Nazioni.
Così sia i conflitti di quarta generazione, cioè quelli in cui vi è un offuscamento della linea tra guerra e politica, tra conflitto militare e civile, e ancora di più quelli di quinta generazione – dove i vortici di violenza ingiustificata e paura potranno colpire ovunque le Nazioni e dove i confini saranno ancora più labili – ci costringono alla conoscenza delle tecniche narrative e delle scienze della narrazione.
In sostanza, queste forme di conflitto si vincono e vinceranno anche gestendo le cosiddette “story wars” o “battle of narrative”: la lotta per la supremazia dei racconti che popolano l’immaginario dei propri avversari o semplicemente orientano l’immaginario dei popoli amici – non necessariamente ostili – che si tenta di influenzare o con cui ci si relaziona per via commerciale e diplomatica.
Perché ognuno di noi ormai è diventato il luogo di una disputa identitaria in cui l’adesione a un racconto di vita e consumo implica la consapevole partecipazione a un mondo di valore e quindi a uno stile di scelte e di vita e anche di lotta.
Mass media. Foto web
Il potere della narrazione: il mondo è come lo si racconta
Com’è possibile essere diventati il luogo di una disputa identitaria tra racconti? Viviamo all’interno di sistemi sociali basati su linguaggi sempre più complessi e articolati (visivi, testuali, iconici, semantici, etc). Solitamente non ce ne accorgiamo ma questi linguaggi si strutturano in racconti che poi orientano comportamenti e scelte sociali di individui e comunità.
I racconti in questo senso non sono semplicemente le storie e gli aneddoti di un sistema pubblico, o di un individuo singolo, ma sono soprattutto i sistemi di significato e di rappresentazione individuale e collettivo. Cioè i modi in cui i soggetti singoli o gruppi usano per auto-comprendere il mondo e poi spiegarlo a se stessi e agli altri.
Dal testo che scelgo di digitare in WhatsApp ai marchi dei prodotti che uso fino alle immagini che decido di mettere sul mio smart phone – ognuno di questi è un testo e una serie d’icone che mi raccontano; che rappresentano qualcosa di me e della società in cui vivo; società che – a sua volta e a seconda dei racconti sociali e di marca a cui aderisce – orienta le mie scelte di vita e consumo.
Ma cosa è un racconto e come si differenza da una storia, e soprattutto cosa c’entra con la Geopolitica e le Comunicazioni Operative?
Iniziamo con ordine. Nella nostra lingua facciamo confusione tra il termine racconto (story) e storia (history) che spesso usiamo come sinonimi ma non lo sono. Una storia individuale e/o collettiva (una history) è l’insieme dei fatti cronologici accaduti a un individuo o a una comunità.
Un racconto (una story) è invece il sistema di rappresentazione linguistico, iconico e simbolico con cui un individuo o una comunità decidono di significarsi. La psicologia post cognitivista, la psicologia copionale[3] e le neuro-scienze contemporanee hanno ampiamente dimostrato che siamo orientati dai racconti (sistemi di rappresentazione) che incontriamo, frequentiamo, viviamo. E lo siamo addirittura da un punto di vista fisico e celebrale. Un importante ricercatore e studioso americano, in questo campo, sostiene che:
“I ruoli narrativi che troviamo adatti a noi danno significato alle nostre vite, anche con il colore emozionale che è inerente alle strutture narrative. Il fatto stesso che riconosciamo queste narrazioni culturali e frame significa che essi nono istanziati fisicamente nei nostri cervelli” (Lakoff, 2008, p.39)
Non solo ma in termini neuro-narratologici accade che:
“Essenzialmente ogni story si organizza intorno al desiderio di un attore di promuovere e perseguire un obiettivo malgrado gli ostacoli che vi si frappongono […]. A partire dai tre anni ogni bambino inizia a elaborare un suo storytelling secondo questo schema e ciò gli consente di classificare la rappresentazione mentale della situazione in cui si trova, colmando le lacune di informazione attraverso la memoria semantica (che registra gli schemata) e poi di leggere gli eventi che accadono grazie alla memoria episodica o sequenziale (che registra gli scripts)”. (S. Calabrese, a cura di, p. 13).
Le storie orientano i nostri neuroni e le narrazioni sono quindi qualcosa di molto serio, tanto da diventare occupazione geo-politica. Le narrazioni e i modi in cui si costruiscono sono questioni di grande importanza - da conoscere e saper distinguere – perché esse sono ben più di un semplice medium informativo, sono un vero e proprio dispositivo di pensiero che permettono il riconoscimento sociale e la connessione culturale nonché affettiva profonda. Per cui il mondo diventa quello che si racconta che sia. E quindi anche la scelta geo-politica, la condivisione valoriale e l’identificazione personale in un leader o in un gruppo politico o in un sistema di pensiero può essere determinata e influenzata in termini narrativi dai racconti che individui e popolano incontrano, vivono, cambiano, assimilano, consumano.
Uno dei simboli asiatici del taoismo cinese. Foto web
Conclusioni: “Story Wars” e Comunicazioni Operative
Le dinamiche geopolitiche contemporanee devono perciò fare i conti con una realtà che è una matrice di racconti psico-sociali in continua evoluzione, attraverso la quale ogni singolo individuo percepisce la realtà, la comprende e la (ri)precipita nella sua vita facendola agire. Come viene ricordato da molta letteratura militare strategica soprattutto statunitense – tra cui il famoso manuale di Petreus[4]:
“Il meccanismo centrale attraverso la quale le ideologie sono espresse e assorbite è la narrazione. Una narrazione è uno schema ideologico organizzativo ed espresso in forma di racconto. Le narrazioni sono fondamentali per la rappresentazione di identità, in particolare l'identità collettiva di gruppi come le religioni, nazioni e culture. Le narrazioni permettono alle comunità di fornire modelli di come le azioni e le conseguenze sono collegati tra di loro e sono spesso alla base di strategie, azioni e interpretazione delle intenzioni degli altri attori”. (Petreus, Metthis, 2004).
Per questo ognuno di noi è all’interno di una story wars: perché a seconda del racconto identitario a cui aderiamo i nostri comportamenti – persino i nostri destini – saranno orientati in un modo piuttosto che in un altro.
La “battaglia della narrazione” come viene definita da alcuni protocolli NATO, è quindi una battaglia in piena regola nella dimensione cognitiva nell'ambiente psico-sociale. Così come una guerra tradizionale si combatte nei domini fisici (aria, terra, mare, spazio e cyberspazio), una “battle of narrative” si conduce a livello di costruzione narrativa di eventi che possono o devono essere rappresentati in un certo modo piuttosto che in un altro all’interno di una certa strategia-contesto di Comunicazioni Operative.
Vincere le guerre Story. Foto web
Una narrazione dominante esiste sempre. Coloro che raccontano le storie dominano il mondo, dicevano gli antichi. Nell'era della trasmissione, l'accesso era il potere (e certo l’accesso conta ancora) ma nell’era della narrazione è il racconto che dà potere. Una rivolta può iniziare con una “semplice” foto su Pinterest[5]. E il racconto della rivolta può “costringere” un’opinione pubblica riottosa a un intervento umanitario o a sanzioni economiche-diplomatiche.
Gli strateghi mediatici contemporanei (Visani, 1998) trovano quindi nello storytelling uno strumento potentissimo sia di analisi strategica, che di produzione operativa. Analisi per capire e produzione per fare e influenzare. Si propone un futuro e si (ri)racconta o sovrascrive il passato. E il futuro comincia nel momento in cui esistono storie che possono essere riconosciute e legittimamente credute. In sostanza: i draghi esistono e i lucchetti dei racconti di Moccia – che escono dai racconti ed entrano nella realtà, legati dagli innamorati sui piloni dei cavalcavia romani - possono far cadere i ponti di una Capitale.
BIBLIOGRAFIA MINIMA
Bruner J. (2003), La mente a più dimensioni, La Terza, Roma
Calabrese S. (2009), Neuronarratologia, Archetipo Libri, Bologna
Cornog E. (2004), The Power and The Story, The Penguin Press, New York
Denning S. (2005), The Leaders Guide to Storytelling, Jossey-Bass, San Francisco
Fontana A. (2009), Manuale di storytelling, ETAS
Fontana A. (2010), Storyselling, ETAS
Fontana A., Sgreva G. (2011), Il Ponte Narrativo. Le scienze della narrazione per le leadership politiche contemporanee, Lupetti, Milano
Lakoff G., (2009) Pensiero politico e scienze della mente, Bruno Mondadori, Milano
Magrolis M. (2009), Believe Me, Get Storied Press, New York
Petreus D., Mattis J. (2004) COUNTERINSURGENCY, Field Manual No. 3-24
Polletta F.(2006), It Was Like a Fever – storytelling in protest and politics, The University Chicago Press
Rak M., (2005) Logica della fiaba. Fate, orchi, gioco, corte, fortuna, viaggio, capriccio, metamorfosi, corpo, Bruno Mondadori, Milano
Salmon c. (2008), Storytelling la fabbrica delle storie, Fazi Editore, Roma
Visani P., (1998), Lo stratega mediatico, Collana CeMiSS – documento interno
Andrea Fontana è docente di Storytelling e Narrazione d’Impresa all’Università di Pavia e Amministratore delegato del Gruppo Storyfactory. Collabora con il 28° reggimento "Pavia" dell’Esercito Italiano, come docente sulle tematiche dello Storytelling applicato alle Comunicazioni Operative.
[1] Le Info-War sono le guerre invisibili che tutti i giorni vengono agite – da varie autorità e con varie strumentazioni (si pensi al caso PRISM da cui è stata tratta una serie TV di successo: Person Of Interest) per il controllo delle informazioni che possono poi avere una ricaduta negli aspetti economici, sociali e politici di una Nazione.
[2] L'effetto CNN è una particolare dinamica studiata nelle scienze comunicative applicate politica secondo la quale la CNN, ha avuto un impatto importante in molte operazioni di influenzamento sociale dell’opinione pubblica americana e non solo (anche sulla conduzione della politica estera). Per estensione il CNN factor indica ormai l’uso dei media – soprattutto televisivi – per influenzare in modo massivo un individuo o una comunità sociale.
[3] La psicologia copionale è la disciplina psicologica che studia l’evoluzione della soggettività umana (psicologia, carattere, attitudini) come se fosse un copione di una storia di vita. Secondo la psicologia copionale, ogniuno di noi è un copione, scritto sia dalle circostanze in cui siamo vissuti e viviamo, sia dal nostro stesso intervento. Come a dire che l’identità è un “testo” che viene scritto nel corso di una vita. Il copione poi determina comportamenti e destini umani. Conoscendo il copione di vita – secondo la psicologia copionale – è possibili leggere predittivamente alcuni comportamenti umani.
[4] David Howell Petraeus è un generale statunitense. Il 23 giugno 2010 Petraeus è succeduto al generale Stanley McChrystal come comandante delle operazioni militari statunitensi in Afghanistan, Pakistan, la penisola Arabica e parti dell'Africa. Dal 6 settembre 2011 è stato il Direttore della Central Intelligence Agency (CIA), fino al 9 novembre 2012.
[5] Pinterestè un social network fondato nel 2010 da Evan Sharp, Ben Silbermann e Paul Sciarra, dedicato alla condivisione di fotografie, video e immagini.
RIPRODUZIONE RISERVATA