Di Floriana De Donno
Roma, 31 luglio 2015
La vicenda dei nostri Marò è fatto noto alla cronaca quotidiana, non soltanto per il valore geopolitico della questione ma soprattutto, per la vicenda umana che i nostri militari stanno patendo insieme alle loro famiglie, che si riverbera sull’orgoglio e sull’animo di una nazione intera. In questa prima parte, cercheremo di esaminare il meccanismo giuridico dell’”arbitrato internazionale”, che verrà applicato per la risoluzione del caso dei militari italiani, facendo una rapida digressione sulla vicenda.
La vicenda
I militari Massimiliano Latorre e Salvatore Girone venivano accusati dalla Corte Suprema Indiana di aver ucciso, in data 15 febbraio 2012, al largo della costa del Kerala, due pescatori indiani, tanto costituiva il primo capo di imputazione. A distanza di circa un anno, il Ministero degli Interni dell’India inoltrava alla NIA, National Investigation Agency per l’antiterrorismo, istanza al fine di procedere nei riguardi dei militari italiani non più con l’accusa di omicidio volontario e premeditato, bensì derubricandolo, (cioè cambiando il tipo di reato contestato) in “atto di violenza eccessiva”, potendo così escludere l’applicabilità della legislazione SUA Act 2002 sezione 3), (una sorta di Codice Penale Indiano), la quale prevede che ai soggetti ritenuti colpevoli di tale reato debba essere applicata la condanna all’impiccagione: in tal modo i militari italiani veniva contestato “solo” un reato che può essere trasposto, dunque considerato come “eccesso di legittima difesa”, con condanna massima a 10 anni di reclusione oltreché una pena pecuniaria.
La questione principale, che da sempre si è posta in ordine al caso dei Marò, riguarda la competenza giurisdizionale e dunque territoriale per i fatti commessi e contestatigli. Per uscire dall’empasse del conflitto di giurisdizione territoriale che riguarda Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, il 26 giugno scorso l’Italia presentava istanza di arbitrato internazionale sulla base della Convenzione dell’Onu sul diritto del mare Unclos (United Nations Convention on the Law of the Sea), di cui il Governo italiano è firmatario parimente al Governo indiano.
Nello specifico e per quel che attiene il caso, la convenzione prevede che, se nella controversia, una delle parti cerca un arbitrato, l'altra dovrà accettare: l’accettazione dunque è obbligatoria per lo Stato che riceve la proposta. E in effetti la Corte Suprema indiana ha accettato l’arbitrato internazionale proposto dall’Italia per risolvere il caso dei due Marò, preannunciando tuttavia, non poca battaglia sul punto: si vedrà in tal modo quello che è il limite effettivo dell’uso dell’ “arbitrato internazionale”.
L’India, difatti, si costituirà in seno al procedimento di arbitrato contestando la richiesta della competenza di giurisdizione italiana e ribadendo che solo l’India è legittimita ad avere giurisdizione per processare La Torre e Girone. Sulla scorta di ciò, in data 26 agosto 2015 il Governo di Nuova Delhi dovrà contro dedurre nel merito, per iscritto, la proposta del Governo Italiano, articolando le proprie censure in ordine alla ritenute competenza indiana a giudicare. Si tenga presente che questa soluzione era già stata proposta dall’Italia a marzo 2013, quando si era articolato quanto necessario per l’arbitrato obbligatorio, prima di rimandare in India i nostri militari. Fu proprio la scarsa capacità di gestire la proposta di arbitrato nel 2013 che determinò le dimissioni (indignate) dell’ex Ministro degli Esteri Giulio Terzi.
In sostanza, su cosa verte la questione dell’arbitrato?
La problematica dell’arbitrato tiene conto dello status giuridico dei Marò, a bordo dell'Enrica Lexie al momento del fatto, del luogo fisico della commissione del fatto-reato e delle modalità di commissione dell’azione. Due le tesi portate avanti dagli Stati coinvolti.
L'India reclama la giurisdizione esclusiva poiché il fatto si è verificato all'interno della zona contigua, tra 12 e 24 miglia nautiche, considerate territorio indiano sulla base di leggi interne; inoltre, afferma che i militari italiani a bordo di un'imbarcazione privata civile Lexie sono da considerarsi “contractors”.
L'Italia reclama la propria giurisdizione in quanto Girone e Latorre, quali militari italiani in servizio, devono considerarsi coperti da immunità funzionale: se un militare è accusato di un crimine mentre è in servizio deve essere giudicato dalle autorità giuridiche del proprio Stato, (vedi precedenti articoli sul codice di guerra italiano ed internazionale).
Anzitutto occorre spiegare che si ha arbitrato internazionale allorquando due o più Stati che hanno ratificato una convenzione internazionale chiedono, ad un collegio di giudici terzi, di risolvere una controversia oggetto della convenzione stessa. Nel caso di specie la convenzione ratificata sia dall’ Italia che dall’india è la Unclos cioè la United Nations Convention on the Law of the Sea. Ai sensi dell’articolo 287 della Unclos, gli Stati firmatari la convenzione possono fare istanza di intervento di giudici internazionali terzi in quattro differenti Corti, una di queste è l'International Tribunal for the Law of the Sea (Amburgo, Germania).
La Corte sarà composta da due giudici (uno per ciascuna nazione) liberamente scelti da Italia e India, più tre opzionati su accordo comune.
Posta così la questione pare di facile risoluzione, in realtà non lo è. Si è già detto che l’India si opporrà alla richiesta di giurisdizione italiana ai fini processuali. Tale opposizione è legittimata da due riserve di legge poste dall’India all’atto della ratifica dell’Unclos, le quali statuiscono che, se chiamata in causa, l’India potrà decidere il da farsi di volta in volta e sulla base di ogni singolo caso concreto, con ciò potendo il Governo indiano anche opporsi alla risoluzione internazionale, (cosa
che in effetti farà).La risoluzione internazionale non è però risolutiva nel merito.
Il collegio internazionale dei giudici, difatti, non delibererà in ordine alla colpevolezza o meno dei Marò, semplicemente valuteranno gli scritti interpretativi proposti da Italia e India, in ordine a quanto stabilito dalla Unclos, in casi analoghi, per poi decidere quale dei due Paesi processerà i nostri militari, non andando l’Italia esente dal rischio di vedere i nostri Marò nuovamente passare sotto il giogo della Corte Suprema indiana, con tutto ciò che ne consegue.
La procedura consta di tempi lunghissimi, stimati in due o tre anni, salvo differente modalità di risoluzione anche a seguito dell’avvio dell’arbitrato. Continueremo a seguire il caso, commentando quelli che saranno i risultati dell’udienza che si terrà nel mese di agosto 2015.
Floriana De Donno è avvocato specializzato in materia penalistica dal 2005. Completa la sua formazione professionale con master, corsi e la specializzazione in diritto militare penale e amministrativo nel 2008. Ad oggi è autrice di articoli tecnici a tema, e si divide tra i due studi (Roma e Lecce) e l'insegnamento. Per informazioni: www.avvflorianadedonno.it - avv.florianadedonno@yahoo.it
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