Di GIOVANNA RANALDO
Livorno, 07 aprile 2015
La 2^ Brigata Mobile è un’unità militare dell’Arma dei Carabinieri, che appronta, sostiene e partecipa alle operazioni, per supportare le altre Forze Armate italiane e alleate, per la ricostruzione e il sostegno delle Forze di Polizia locali, per fornire servizi di sicurezza presso le ambasciate italiane in paesi particolarmente sensibili sotto il profilo della sicurezza. L’impegno della Brigata non si esaurisce all’estero, ma si articola anche in Patria attraverso le attività di soccorso alle popolazioni colpite da calamità, con lo schieramento di dispositivi logistico-campali, e invio di mezzi e di specialisti com’è avvenuto in Abruzzo, in Liguria e in Emilia Romagna. Di particolare rilievo, (nell’ambito d’importanti e complesse operazioni per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica sul territorio nazionale), l’impegno dei militari del 7° e 13° reggimento con sede rispettivamente in Trentino e in Friuli.
Per saperne di più, siamo andati a Livorno, per incontrare il Generale di Brigata Sebastiano Comitini. Lo avevamo incrociato ai tempi in cui comandava il 1° reggimento Carabinieri Paracadutisti. Oggi è il comandante della 2^ Brigata Mobile che annovera tra i suoi reparti proprio il 1° reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania”, il 7° reggimento Carabinieri “Trentino Alto Adige”, il 13° reggimento Carabinieri “Friuli Venezia Giulia” e il GIS (Gruppo Intervento Speciale). I tempi cambiano ma il temperamento del Generale Comitini sembra rimasto quello di allora, determinato, cordiale ma proiettato verso il futuro, con una grande apertura mentale che è propria di chi conosce bene i teatri esteri e ne ha respirato la polvere!
Il suo pregresso ormai è noto. Un professionista a tutto tondo, che dopo aver frequentato la scuola militare “Nunziatella” nel ’72, ha mosso i primi passi con i paracadutisti, fino ad arrivare a ricoprire (dal 12 ottobre 2011) questo incarico così delicato. Pugliese di nascita (Brindisi), ha all’attivo numerosissime missioni e collaborazioni di prestigio sul fronte internazionale, tra cui quella in Afghanistan che lo ha portato a essere insignito della "Legion of Merit" USA. L’invito a raggiungerlo in ufficio è di quelli informali e pragmatici, come il suo stile. Il Generale è un “operativo” e come tale ottimizza tempi e risorse. Ne scaturisce una bella chiacchierata, fatta di ricordi, racconti ma anche di una forte esperienza e la consapevolezza dei cambiamenti che riguardano i contesti nei quali operano oggi tutti i suoi assetti.
Il Generale di Brigata Sebastiano Comitini. Foto 2^ Brigata CC.
Generale, la 2^ Brigata è l’assetto deputato in modo specifico alla “proiezione” all’estero. Ce ne parla?
Il contesto internazionale, dopo la caduta del muro di Berlino, si è profondamente modificato. C’è stata una forte esigenza di sicurezza, tradotta in missioni di stabilizzazione e interventi da parte degli organismi internazionali, quindi anche delle nostre Forze Armate FF.AA. In sintesi si è osservato che in questo periodo c’è stata una tendenza ad allargare il concetto di difesa, integrando anche quello di sicurezza; i confini rigidi che esistevano durante la guerra fredda sono andati via via sfumando. Per questi motivi, le forze militari si sono orientate a una trasformazione necessaria e sono diventate forze di sicurezza, per poter assolvere ai compiti che nascevano nei nuovi scenari (inizialmente quelli balcanici che hanno visto numerosi schieramenti di forze “occidentali”). In questo quadro, l’Arma dei Carabinieri e le Gendarmerie in genere, costituivano un assetto molto importante, perché di fatto, rappresentavano un ponte tra le forze militari e le forze di polizia, avendo entrambe le capacità, ed essendo in grado di interfacciarsi e interconnettersi sia con gli uni che con gli altri. Nel 1998, questa esigenza si è concretizzata con lo schieramento in teatro della prima MSU (Multinational Specialized Unit) seguita, dopo un paio di anni, da un’analoga unità a Pristina, in Kosovo. Questa situazione ha reso necessaria una riorganizzazione, anche interna, della struttura dell’Arma dei Carabinieri, in modo da poter essere in grado di fronteggiare le esigenze di proiezione, fortemente aumentate. Così è stata costituita nel 2001 la 2^ Brigata, che è un po’ il “contenitore” di tutte queste capacità di proiezione all’estero.
Questa Brigata è nota anche per il fattore “addestramento”, che riassume nella propria struttura ordinativa compiti istituzionali, militari e di polizia.
Esatto. Prima di essere schierati in un teatro operativo all’estero, i nostri Carabinieri devono necessariamente essere ricondizionati e certificati, secondo degli standard sia nazionali che NATO, ONU o dell’Unione Europea, secondo il tipo di missione. La Brigata si è assunta l’onere di preparare per lo schieramento in teatro non soltanto i propri militari, ma tutto il personale dell’Arma dei Carabinieri.
Ci sono dei corsi specifici per attività più specialistiche come ad esempio può essere il “corso scorte”?
Sì, diciamo che la Brigata ha raccolto reparti che già operavano sul territorio nazionale e che avevano una loro configurazione, un loro profilo, un’identità. I corsi di guardie del corpo, sono una prerogativa di uno dei nostri reparti (Gruppo Intervento Speciale, GIS n.d.r), che hanno continuato a sviluppare queste attività, così come per esempio i “Cacciatori”[1] di Calabria o di Sardegna, sono tradizionalmente legati al territorio, ma hanno un addestramento di base che gli viene conferito dal 1° reggimento Tuscania da più di vent’anni. Queste attività hanno continuato a essere svolte, e si sono aggiunte a quelle più specifiche dell’addestramento per la proiezione all’estero.
Si parla anche di supporto logistico alle missioni all’estero, che vuol dire?
Come 2^ Brigata noi abbiamo il carico del supporto logistico alle missioni all’estero. Mi spiego meglio con un esempio: mentre l’Esercito gestisce la logistica per brigata (ogni brigata che si schiera organizza i suoi assetti logistici e li riporta indietro al termine del periodo d’impiego), noi schieriamo degli assetti che sono costantemente alimentati dalla Brigata sotto il profilo logistico, ossia, ritorna e si avvicenda il personale, ma i materiali fanno sempre capo alla Brigata, restano in teatro e vengono gestiti in base alle esigenze.
Il generale Comitini in Afghanistan. Foto 2^ Brigata CC.
Nei teatri operativi, oggi si lavora molto nell’ottica della partnering con le realtà di polizia dei paesi dove siamo chiamati a intervenire, com’è stato per l’Afghanistan e la Libia. Si parla di cooperazione e addestramento dei loro esperti, come funziona?
Nell’evoluzione di una missione di supporto alla pace (come abbiamo visto ad esempio in Afghanistan), c’è una prima fase durante la quale, i contingenti internazionali si sostituiscono alle istituzioni locali e parallelamente le ricostituiscono. Faccio l’esempio della Polizia afghana: una volta rischierati in teatro, abbiamo svolto, come coalizione internazionale ISAF, l’attività di controllo del territorio e parallelamente abbiamo organizzato un sistema addestrativo di reclutamento, formazione delle forze di Polizia strutturato sul posto. In poche parole, abbiamo addestrato nei training center le forze di Polizia. Mentre questi assetti prendevano corpo, i poliziotti venivano schierati sul terreno e iniziavano a svolgere le proprie funzioni. A questo punto però ci si è posto il problema di seguirli nella loro fase operativa. Così sono stati affiancati da degli advisors i nostri Carabinieri da trainers si sono trasformati in advisors, e hanno seguito le forze di Polizia nelle loro attività, fino a quando questi, non sono stati in grado di esercitare il proprio ruolo in piena autonomia.
Come vengono addestrati a questo tipo di attività così delicata i vostri istruttori? E’ gioco-forza con la comunicazione interculturale, ma non basta, ci sono iter formativi specifici, ad esempio relativi alla gestione degli interpreti o della CNV (Comunicazione non verbale)?
Per quanto riguarda questo tipo di formazione, viene in parte sviluppata (soprattutto nel metodo didattico) presso la 2^ Brigata. Tuttavia va sottolineato che la Brigata opera in sistema con il COESPU[2] (Centro di Eccellenza per le Stability Police Units), che in questo settore ha delle capacità riferite alla comunicazione, al cultural awareness, e a tutta una serie di strumenti utili per svolgere al meglio quest’attività. Credo che il requisito principale per poter essere un buon advisors, sia insito nella “credibilità” del soggetto, che ovviamente dev’essere costruita sull’esperienza, perché il poliziotto “mentorizzato” tende a percepire immediatamente se chi ha di fronte è in possesso di tutti i requisiti per poter esercitare il ruolo di referente.
E’ questo secondo lei il futuro delle missioni?
Nel mondo stiamo avendo l’evoluzione di una serie di situazioni, per cui è difficile prevedere sviluppi nel dettaglio. In linea di massima la tendenza che io percepisco, è quella di una richiesta di maggiore professionalità al personale che viene proiettato all’estero. Quello che si sta concretizzando oggi, è che proprio dal modello dell’MSU si stanno estrapolando le componenti di maggiore profilo tecnico-qualitativo. Rimane sempre valido il concetto di “Polizia robusta” di stabilizzazione, la cui proiezione, a giudicare da quello che succede in giro per il mondo, sarà richiesta anche in futuro. Quel che resta fondamentale, e che viene richiesto anche a livello alleati, è la proiezione all’estero delle “capacità pregiate” di Polizia, che noi abbiamo: come la Tutela del Patrimonio artistico, capacità investigative, di tecniche avanzate di ordine e sicurezza pubblicac…). Tutte queste risorse proiettate all’estero devono essere messe in campo da personale che sia dotato di una capacità di sopravvivenza in un teatro ostile, ed è questa capacità che noi gli conferiamo attraverso l’addestramento garantito dal nostro Centro Addestramento.
Il Foto di gruppo (Kabul 2011): il CTAG-P (Combined Training Advisory Group-Police), con il comandante, generale Comitini, al centro.Si tratta di un gruppo di lavoro formato da militari, poliziotti e civili provenienti da circa quindici nazioni e organizzazioni. Foto 2^ Brigata CC.
Generale il progetto EUPST (European Union Police Services Training) 2011-2013, a leadership italiana, ha visto coinvolta attivamente l’Arma sul fronte della cooperazione internazionale. Ci illustra di cosa si è trattato e se vi sono altre iniziative in tal senso per il prossimo futuro?
E’ un progetto che a livello di pianificazione è iniziato nel 2008. L’Unione Europea (in particolare la Commissione) ha sentito l’esigenza di coordinare le attività di Polizia degli stati membri, in maniera tale da essere in grado di poter proiettare delle missioni di Polizia in teatri operativi all’estero. Operazioni strutturate secondo i criteri delle missioni militari, con un’organizzazione gerarchica e tutte le funzioni di Polizia in ragione del mandato. Per fare questo, sono state assegnate delle attività di pianificazione e organizzazione di addestramenti alle varie nazioni; ogni anno una nazione si faceva carico di organizzare una Police Training presso le proprie sedi. Nel 2009 è stato il turno dell’Italia, che ha visto la sede di Vicenza scenario di un notevole successo, tant’è che l’UE ha continuato a lavorare su questo progetto e lo ha ripetuto, ma questa volta assegnando l’attività a un “consorzio di nazioni” (non più a una sola), nel quale l’Italia ha assunto il ruolo di leader. Dal 2010, il consorzio ha sviluppato tutta una serie di attività addestrative nelle singole sedi delle cinque nazioni partecipanti (oltre all’Italia): Francia, Olanda, Spagna e Romania che si è inserita successivamente. Il vincolo che aveva, quello che di fatto era un contratto (per il quale l’UE aveva stanziato oltre quattro milioni di euro), era quello di sviluppare almeno due sessioni addestrative in Africa. Noi l’abbiamo concretizzata in Kenia, dopo che l’Egitto ci aveva comunicato di non poterci sostenere in ragione dell’ordine interno e della sicurezza pubblica di quel momento.
Ci siamo orientati subito sul Kenia, dove c’era un training center conosciuto al COESPU, che ci ha facilitato l’ingresso e ha contribuito al successo del progetto sul fronte internazionale. Abbiamo messo in piedi l’organizzazione avendo come riferimento il modello delle stability police unit, (MSU, IPU etc), con l’inserimento di molte capacità specialistiche tipiche delle polizie più moderne. Abbiamo visto la partecipazione di 45 agenzie di Polizia, appartenenti a 25 nazioni differenti, compresi gli americani e i paesi contributori, con un focus specifico sull’Africa, che è particolarmente attenzionata dall’UE già da molti anni. Il progetto ha riscosso un grande successo in ambito UE e la Commissione ha previsto un importante stanziamento di fondi per proseguire l’attività anche nel prossimo triennio.
Oltre agli impegni esteri, dalla Brigata molto viene fatto anche sul fronte dell’Ordine e Sicurezza Pubblica.
La Brigata è nata anche per addestrare e preparare personale a svolgere attività di ordine pubblico O.P. all’estero, tant’è che il 7° e 13° reggimento hanno questo come compito principale in proiezione. E’ chiaro che per svolgere quest’attività in teatro, devono essere addestrati, soprattutto per fare gli istruttori della materia. Per questo, i due reggimenti vengono impiegati in attività di OP unitamente agli assetti della 1^ Brigata Mobile, normalmente vengono rischierati in quelle aree e attività di OP, che richiedono una permanenza prolungata di contingenti omogenei e dunque sono presenti da sempre nella zona della Val di Susa (in Piemonte) nei cantieri della linea ferroviaria “Torino-Lione”, o in Sicilia nei centri di accoglienza e soprattutto in occasione di improvvise, delicate manifestazioni che spesso capitano a Roma.
Aeroporto di Kabul, Afghanistan (novembre 2011). Il generale Comitini poco prima di un volo con l'elicottero Mi-24 della Repubblica Ceka, per una ricognizione sull'area addestrativa della Polizia afghana. Foto 2^ Brigata CC.
I teatri di crisi (interni che esteri) risentono di un ordine diverso, che fa della comunicazione di massa la sua spina dorsale, l’ISIS è un chiaro esempio. Rispetto a questo nuovo approccio terroristico, avete adottato delle particolari accortezze? Ad esempio l’impiego di specialisti o di nuovi metodi d’intervento anche relativamente al GIS?
Tutte le predisposizioni che riguardano l’estero, sono gestite a livello centrale, così come anche le attività che per esempio il GIS svolge sul territorio nazionale. Per quanto riguarda le attività interne, il GIS è già attrezzato, anche perché questo approccio terroristico richiede prevalentemente una risposta sotto il profilo di quelle che vengono definite PsyOps[3] (Psychological operations) sul territorio internazionale, per cui esce un po’ fuori dalla nostra competenza come 2^ Brigata, che è una force provider, un’agenzia di coordinamento logistico e addestrativo. Non è una grande unità come quelle dell’Esercito, la 2^ Brigata è un ente che mantiene pronti tutti gli assetti di proiezione che però poi vengono impiegati dal livello centrale dell’organizzazione: per quanto riguarda il GIS è il Ministero degli Interni sul territorio nazionale tramite il Comando Generale, ed è il COFS/COI[4] per quanto concerne il comparto Difesa.
In questi ultimi tempi, c’è un notevole sforzo sul fronte della sicurezza interna rispetto all’Expo di Milano 2015. In che modo intervengono gli assetti della 2^ Brigata?
L’organizzazione è gestita a livello centrale, sicuramente verranno interessate tutte le componenti della Brigata. Nel dettaglio, “come” non sono ancora in grado di stabilirlo, poiché opereremo assieme a una fitta rete di personale dell’Arma, dunque è a livello centrale che stanno prendendo le decisioni e il Ministero degli Interni coordina il tutto.
E per il Giubileo?
Sicuramente, perché quando ci sono manifestazioni delicate su Roma, i nostri assetti, il 7° e 13° reggimento vengono subito impiegati. Infatti spesso i comandanti mi chiamano per informarmi che sono stati attivati dalla Sala operativa del Comando Generale per mandare 50-100 unità su Roma per due o tre giorni. Si tratta di attività di breve durata ma molto impegnative.
Lei si è arruolato nel 1972, come sono stati i suoi esordi?
Sì nel ’72 sono entrato alla Scuola “Nunziatella”. Mio papà era un ufficiale pilota, quindi la mia formazione da ragazzino è avvenuta negli aeroporti, dove ho iniziato a coltivare interesse per la vita militare e per il volo. Nel 1976ono entrato a Modena ma la passione per il volo e per quei reparti che avevano a che fare con queste attività mi è rimasta, per cui nel 1980 la mia prima destinazione è stata al Tuscania. Sono passato al GIS e dopo un paio d’anni è seguito il comando della Compagnia di Bitti in Sardegna. Rientrato al Tuscania sono iniziate le missioni all’estero e sono andato in Somalia e Bosnia. Ho comandato il GIS e a seguire il Comando Provinciale di Brindisi. Dopo ho fatto un anno a Hebron (Cisgiordania), ho preso il comando del Tuscania (e sono andato a Nassiriyah). Dopo aver lasciato i paracadutisti sono andato un anno in Kosovo e un paio di anni al COESPU a Vicenza. Poi in Afghanistan per un anno e infine qui.
Se dovessi tirare le somme, in totale ho fatto sei teatri, però diversificati per tipo di organizzazione, perciò ho fatto missioni militari, quelle dell’Unione Europea e anche le missioni civili come quella condotta a Hebron. Questa è la cosa di cui vado più fiero: io ho avuto l’opportunità e anche il privilegio, di poter passare tra ambienti operativi molto diversi tra loro e quindi di operare con civili, poliziotti, soldati. Devo dire che questa è stata un’esperienza straordinariamente interessante.
Training Center di Wardak (Afghanistan 2011). Il generale Comitini con il Magg. Gen (can) Stuart Beare e uno dei suoi ufficiali. Foto 2^ Brigata CC.
Tante esperienze, ma è sempre rientrato qui tra i paracadutisti.
Io sono convinto che questo sia un settore che vada coltivato, ed è un settore in continua, velocissima evoluzione, per cui se si resta fuori troppo tempo, si perde un po’ la percezione delle cose e quindi si fa più fatica a rientrare. E’ un settore che richiede un certo livello di specializzazione e anche di conoscenza di cose e persone, perché anche le persone che vivono in questo ambiente sono particolari, vanno conosciute.
Generale, lei ha alle spalle numerose missioni (Afghanistan, Bosnia Herzegovina, Cisgiordania, Iraq, Kosovo, Somalia). Com’è cambiato nel tempo l’approccio dei Carabinieri, da MSU, fino ai nuovi TT.OO?
C’è stata un’acquisizione d’esperienza notevole e molto più ampia. Negli anni ’80 e ’90 gli unici Carabinieri che andavano in missione all’estero erano quelli del Tuscania, lo zoccolo duro dell’MSU edella 2^ Brigata. Se si esclude una piccola missione che è stata fatta in Salvador con le Nazioni Unite eambogia nel ’93-’94, la prima proiezione importante dell’Arma è avvenuta nel ’98. Si è trattato di un’attività prodromica alla costituzione dell’Arma dei Carabinieri con il rango di Forza Armata autonoma, perché quando uscivamo come Tuscania eravamo sempre Esercito, dato che il Tuscania veniva proiettato in quanto reparto della Brigata Paracadutisti “Folgore”. Quell’esperienza è stata fondamentale per poter disegnare e schierare l’MSU. C’è da considerare che, a mio personale avvisoabbiamo svolto anche un’attività di compensazione, soprattutto agli inizi, durante la fase di riorganizzazione dell’Esercito, delle Forze Armate. Se ricorda, le Forze Armate sono passate da “Esercito di leva” a “Esercito professionale”, proprio in quel periodo, e con la nostra capacità di proiezione abbiamo compensato questo momento di transizione dell’EI. Esercito che peraltro, una volta che si è riorganizzato su base volontaria, ha maturato una straordinaria esperienza nella proiezione all’estero. Affiancata alla nostra conferisce al sistema Italia, al sistema Paese, una grandissima visibilità, efficacia ed efficienza che siraducono in una grande professionalità. Anche la costituzione del COI (e poi del COFS), sono stati grandi passi, perché quando è stata condotta la missione in Somalia, ciascun contingente di Forza Armata rispondeva al proprio Stato maggiore, con tutte le problematiche di coordinamento e comunicazione che può immaginare. All’inizio è stata una novità per tutti, poi la struttura “Difesa” si è delineata al meglio e si è trovato il giusto equilibrio.
Quali sono gli errori più comuni, che negli anni della sua carriera ha avuto modo di osservare, nell’approccio a un contesto internazionale?
L’approccio al contesto internazionale richiede un certo atteggiamento di curiosità ed elasticità mentale. L’impiego all’estero è qualificante, nella misura in cui il personale inviaton grado di comunicare e rapportarsi con realtà, situazioni nuove rapidamente. Chi non ha attitudine a questo tipo di approccio o non è in grado di adattarsi in breve tempo al sistema in cui viene inserito, normalmente tende a essere isolato o a creare delle frizioni che poi danneggiano il lavoro. La scelta del personale secondo me è fondamentale, e va fatta su queste basi, anche perché all’estero nel tempo sono tuttiiventati sempre più esigenti, richiedono determinate caratteristiche a premessa dell’ingresso nei vari teatri dove si dovranno poi mettere in campo tutte le competenze. I teatri operativi si sono evoluti moltissimo: se dovessi fare un confronto tra quella che era la Somalia e quello che è l’Afghanistan, potrei parlare di un divario enorme in termini di metodo organizzativo interno, dotazioni di sicurezza, livello di competenza del personale, sia dei singoli che di specifici assetti che devono avere adeguate capacità.
Il Generale Comitini sulle alture circostanti il Mega Training Center di Wardak (Afghanistan) nel 2011, in ricognizione per organizzare le difese della base che si intravede nella vallata. Foto 2^ Brigata CC.
Si parla tanto di riforma delle Forze dell’Ordine e di un riassetto dell’Arma. Qual è il suo pensiero rispetto a questi temi e quale potrebbe essere il futuro della 2^ Brigata?
La 2^ Brigata è un assetto importantissimo per tutta la Forza Armata, perché rafforza lo status militare dell’Arma specie sotto il profilo tecnico. Le capacità che ne discendono, vengono riversate sul personale anche delle altre organizzazioni dell’Arma, e costituiscono el valore aggiunto che fa la differenza. L’EUPST di cui parlavamo prima, è stato un momento nel quale tutta l’Europa, compresi i paesi del Nord Europa (che hanno delle tradizioni di Polizia civili), hanno riconosciuto l’efficacia di questo strumento, sia sotto il profilo organizzativo sia dell’efficienza dei risultati. Per il futuro, si dovrà adeguare e trasmettere sempre di più le competenze tecniche e procedurali acquisite a vantaggio di tutte le altre componenti dell’Arma che operano sia in Patria che all’estero.
I Carabinieri rientrano nell’immaginario collettivo come una presenza costante insieme al Parroco e al farmacista, De Sica insegna! L’evoluzione storico-sociale poi, ci ha portati a proiettarci in contesti del tutto nuovi, internazionali, dove il Carabiniere di oggi richiama in sé una serie di peculiarità molto complesse. Che requisiti ha o deve avere il Carabiniere di oggi?
Un buon carabiniere in Italia deve tener stretti i requisiti che già ha, perché fa parte del tessuto nazionale, ovviamente con un costante aggiornamento come già sta avvenendo, anche attraverso numerosi strumenti di cui oggi siamo dotati, parlo anche di disponibilità tecnologiche. Lo spirito e la funzione, anche nell’immaginario collettivo, non sono cambiati. Ciò che viene apprezzato all’estero non è una capacità diversa da questa, è però la capacità che ha l’Arma di “proiettare” fuori area questo tipo di approccio, perché questo è ciò che viene riconosciuto e apprezzato dai nostri alleati. Il nostro compito (della Brigata) essenzialmente è quello di trasferire oltre i confini queste capacità, mettendo il personale nelle condizioni di fare quello che fa in Patria, con la differenza che si tratta di un contesto spesso più delicato e rischioso sotto il profilo dell’incolumità individuale.
La famiglia e la carriera. Qual è il segreto di un’unione felice?
Le mie considerazioni nascono dall’esperienza personale: premetto che mia moglie è figlia di un collega di mio padre e quindi una persona nata nello stesso ambiente nel quale sono nato io. Per questo ha una piena conoscenza di come funziona l’ambiente militare, in breve, non è stata necessaria un’attività di “riconversione”. Questo aspetto mi ha aiutato moltissimo, poiché la nostra vita è piena d’improvvise variazioni di sedi, incarichi e partenze.
Generale, lei è paracadutista. Si lancia ancora?
Sì, quando posso mi lancio con i miei istruttori che conosco ormai da decenni.Quando ho la possibilità mi organizzo volentieri, è un’attività che rinnova motivazione, richiede concentrazione e dà molta soddisfazione. Ovviamente bisogna farci un po’ di attenzione: far passare tanto tempo tra un lancio e l’altro non è particolarmente indicato, questa è un’attività che si dovrebbe svolgere con maggiore continuità altrimenti diventa necessario non dico ricominciare daccapo, ma faticare un po’ più.
[1] I “Cacciatori” sono un reparto concettualmente nuovo, a elevatissima specializzazione, che identifica in un'unica visione operativa procedure tipicamente militari e tecniche di polizia, secondo la migliore tradizione dell'Arma. Di supporto ai reparti territoriali dell'Arma, i "Cacciatori" sono rivolti esclusivamente alla lotta del crimine organizzato attraverso gli specifici compiti a loro devoluti. Attualmente l'articolazione operativa dell'Arma comprende: lo Squadrone Carabinieri eliportato "Cacciatori Calabria" istituito il 1° luglio 1991 con sede a Vibo Valentia, inserito nella struttura ordinativa del Comando Regione Calabria; lo Squadrone Carabinieri eliportato "Cacciatori Sardegna" istituito il 1° settembre 1993, con sede in Abbasanta (OR).
[2] Il 1 marzo 2005, sulla base degli impegni assunti dall’Italia nel vertice G8 di Sea Island del 2004, che ha adottato il Piano d’Azione denominato “Estendere la Capacità Globale per Operazioni di Supporto alla pace (PSO)”, è stato costituito, presso la Caserma dei Carabinieri “Chinotto” di Vicenza, il Centre of Excellence for Stability Police Units (CoESPU).
[3] La Guerra psicologica consiste nell'”uso pianificato della propaganda e altre azioni psicologiche, allo scopo principale di influenzare opinioni, emozioni, atteggiamenti e comportamento di gruppi ostili, in modo tale da favorire il raggiungimento degli obiettivi nazionali”.È nota anche con il termine infowar,che intende enfatizzare l'importanza tattica dello sfruttamento delle informazioni a fini bellici.
[4] Il Comando Operativo di vertice Interforze (COI) nasce come effetto della legge n. 25 del 18 febbraio 1997 di ristrutturazione dei vertici delle Forze Armate che pone il Capo di Stato Maggiore della Difesa in posizione sovraordinata rispetto ai Capi di Stato Maggiore delle Forze Armate, alle dirette dipendenze del Ministro della Difesa, quale responsabile dell’Organizzazione militare e in particolare della pianificazione, della predisposizione e dell’impiego delle Forze Armate nel loro complesso. Il Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali (COFS) è stato costituito il 1° dicembre 2004 alle dipendenze del Capo di SMD ed ha la competenza per le operazioni condotte dal 9° Rgt. d'Assaltoparacadutisti "Col Moschin" Gruppo Operativo Incursori del COMSUBIN, 17° Stormo Incursoridell'Aeronautica Militare e del Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri (per le esigenze della Difesa).
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