Di Giovanna Ranaldo Sassari, 26 settembre 2014
Foto: PIO Brigata Sassari
Il Generale Scopigno in Afghanistan
Tutto è pronto a Sassari, in piazza d’Italia per il rientro in Patria del personale della Brigata simbolo della Sardegna. Anche questa missione in Afghanistan si è conclusa, non senza timori, speranze, entusiasmo e operosità da parte dei “Dimonios” e dei loro cari. Sì perché la prima cosa che si respira mettendo piede in Sardegna, è quel legame indissolubile che copre migliaia di chilometri e lega i “Sassarini” alla loro terra… alle loro famiglie (c’è sempre una bandiera sarda che sventola nel mondo, ovunque si trovi uno dei suoi figli)! E’ qui che tra poche ore, contestualmente alla gioia del rientro, si terrà l’avvicendamento tra il 41° Comandante della brigata, generale Manlio Scopigno e il subentrante generale Arturo Nitti. Siamo andati a trovare il generale Scopigno in uno dei suoi ultimi giorni di lavoro. L’accoglienza alla porta in piazza Castello è calorosa come solo i sardi sanno fare.
L’addetto alla Pubblica Informazione PI, tenente colonnello Marco Mele, ci saluta e ci conduce, ufficio per ufficio, a conoscere tutto il personale, perché la “famiglia” è grande e il cuore bianco e rosso dei Dimonios lo è ancora di più. Il colonnello Mele ci racconta, si racconta e non esita a parlare chiaro. Il passo è deciso, il sorriso accorato, lui è uno che la PI (Pubblica Informazione) la mastica come fosse pane, e si vede, anche attraverso la prontezza e la sobrietà dei suoi due collaboratori in ufficio. Per capire la Brigata non ci si può limitare a fare un paio di ricerche e anticamera tra un’autorizzazione e l’altra. Bisogna viverla, assaporarla, entrare in contatto, se possibile, con ognuno dei suoi militari, perché ogni suo componente "è la Brigata". Ci tiene a questi passaggi il generale Scopigno, “figlio innestato” in terra di Sardegna, che durante il suo mandato ha partecipato con affetto ed entusiasmo alla vita dell’isola.
Tutti si erano accorti dell’empatia che si era venuta a creare con questo “continentale” (così i sardi definiscono gli italiani provenienti da altre regioni n.d.r.), e di come si sia impegnato nella complessità di un incarico che necessariamente passava attraverso il tessuto sociale del territorio. Così il comandante della Sassari non è mancato alla festa dei Candelieri, o alla Cavalcata sarda. Alla Madonna del Buon Cammino (protettrice della Brigata n.d.r.), ha conferito la medaglia commemorativa della missione Isaf, e donato la propria sciarpa azzurra da ufficiale, come ringraziamento per aver potuto riportare a casa tutti i suoi militari impegnati in Afghanistan. Ha rafforzato legami, ne ha creato di nuovi anche attraverso la sfera culturale, sportiva ed economica dell’isola. La gente lo ricarmbia, “il nostro generale” dice… perché nella vita non ci sono solo “radici”, ma anche “innesti”. Ci accoglie nel suo ufficio, luminoso. Le finestre aperte lasciano entrare sole e aria salmastra, mentre il suo personale fa la spola e saluta con un piacevolissimo accento sardo. Il clima è disteso e la chiacchierata va da sé.
La Madonna del Buon Cammino con indosso la medaglia e la sciarpa da ufficiale dono del comandante della Brigata.
Generale, finalmente il rientro in Patria della Sassari, ma non c’è il tempo di festeggiare i buoni risultati, c’è già un nuovo incarico.
E’ proprio così. Credo che la festa più bella sia stata l’abbraccio dei nostri cari all’aeroporto d’Alghero, la presenza delle istituzioni locali, la vicinanza degli organi d’informazione che hanno catturato quei commoventi, interminabili istanti. Quanto al futuro mi accingo a lasciare la Sardegna per andare a ricoprire un importante incarico presso il presso il Nato Rapid Deployable Corps - Italy (NRDC-ITA), il comando multinazionale dei corpi di reazione rapida della Nato di stanza a Solbiate Olona, in provincia di Varese.
Ancora una volta la Brigata ha messo piede sul suolo afghano, precisamente da febbraio ad agosto di quest’anno. Ci racconta in cosa è stato diverso quest’ultimo impegno rispetto ai precedenti?
Sì, per la sua terza volta la Brigata Sassari è stata impiegata nel Teatro Operativo Afghano. E' vero che ogni mandato ha peculiarità e sfide da superare ogni volta diverse, ma il periodo che stavolta attendeva la Sassari era particolarmente significativo per la recente storia dell'Afghanistan. Innanzi tutto perché si sono tenute, per la prima volta, le elezioni democratiche per la scelta del Presidente dell'Afghanistan con le Forze di Sicurezza Locali, completamente responsabili dell'organizzazione e la difesa, poi perché il disimpegno di ISAF imponeva una riarticolazione del Comando Regionale più confacente ai prioritari compiti di Train, Advise e Assist.
Può spiegarci com’è cambiato da luglio il “Regional Command West” e quali sono stati i punti principali del vostro lavoro in questi mesi di operazioni?
Certo, i principali focus dell'attività svolta sono stati tre: il primo, ovviamente, era quello del fornire assistenza, supporto, addestramento e mentorizzazione delle Forze di Sicurezza dell'Afghanistan (ANSF). Stavolta, tale attività si è svolta senza forze di manovra di ISAF (Forze di manovra, ovvero Task Forces) incaricate di controllare il territorio e svolgere operazioni in modo autonomo. Ogni sforzo è stato quindi dedicato a consigliare e aiutare le ANSF nella fase di pianificazione delle operazioni e nello studio di procedure per rendere il loro strumento militare sempre più efficiente. Anche se le capacità residue di assetti di intelligence, di aerei, di lotta agli ordigni esplosivi hanno consentito talvolta di fornire assistenza durante le operazioni delle ANSF, le principali attività si sono sviluppate attraverso i cosiddetti mentors che quotidianamente si recavano presso i comandi del Corpo d'Armata e della Polizia per fornire il loro supporto. La necessità di rendere coerente il loro lavoro in un disegno più ampio, ha imposto la trasformazione delle procedure e dello stesso Comando Regionale, che a partire dal 17 luglio ha assunto la denominazione di Train Advise Assist Command West (TAAC WEST) in luogo di Regional Command West (RC WEST). In sostanza, si è passati da una classica struttura per branche funzionali (Personale, Intelligence, Operazioni, Logistica) preposte al funzionamento dei propri assetti, ad una struttura in cui ogni branca costituiva un centro di eccellenza per studiare in che modo mentorizzare la controparte afghana. Così, ad esempio, il personale o l'addestramento erano preposti non solo a seguire il personale NATO, ma anche a fornire studi e suggerimenti per migliorare le questioni afferenti al personale e all'addestramento afghano.
Immagino che ciò comporti anche un cambiamento nelle procedure?
Esatto, anche le procedure sono cambiate: i mentors si riunivano con ciascun addetto della rispettiva branca funzionale attraverso dei working groups dove i problemi venivano analizzati e individuate possibili soluzioni. Il coordinamento di tutti i working group è avvenuto attraverso meeting coordinate (invece del Vice Comandante per l'Addestramento e lo sviluppo), che presentava al Capo di Stato Maggiore le problematiche con le relative soluzioni per l'approvazione del Comandante. Una strattura di questo tipo, applicata per la prima volta in un Teatro Operativo, puo' costituire il naturale riferimento per tutti quei contingenti che in futuro dovessere dispiegarsi fuori area per funzioni di Assistanza e Supporto alle Forze di Sicurezza locali. Tornando ai tre punti, il secondo focus è stato ovviamente la garanzia di poter svolgere ogni attività nella massima sicurezza per la struttura e per il personale.
In questo senso sono stati completati e avviati nuovi progetti per mantenere la base a livelli elevati di standard di sicurezza e sono state esaltate tutte quelle attività volte a favore del nostro personale: le capacità di processare le informazioni intelligence e neutralizzare le minacce prima che esse potessero sortire il loro effetto (distruzione di autobomba, abbattimento di ripetitori per le comunicazioni avversarie, garanzia di libertà di movimento sulle principali vie di percorrenza dei nostri mezzi attraverso costanti bonifiche degli itinerari). Il terzo focus è stato il cosidetto redeployment, ovvero il rientro in Patria dei materiali e delle strutture conseguente alla riduzione del contingente. Si è trattato di una operazione logistica senza precdenti, la più impegnativa dalla seconda guerra mondiale: ponti aerei tra Herat e Dubai e navi dall'Arabia Saudita alla madrepatria. All'arrivo della Brigata Sassari rianevano 11.000 metri lineari da rimpatriare, al momento della cessione di responsabilità ne risultavano circa 5.000, che dovrebbero diventare circa 3.500 a fine anno a meno che le condizioni politico strategiche non impongano un ritiro di tutti i contingenti NATO al 31 dicembre 2014.
Si riesce a fare una stima del nostro impegno in Afghanistan?
Un bilancio può essere fatto solo in relazione al lavoro continuativo che tutti i contingenti italiani che si sono alternati in circa 11 anni di missione hanno realizzato. In questo senso, le elezioni presidenziali che si sono svolte durante il mandato della Sassari sono la cartina tornasole del buon esito della missione. Nonostante le minacce, le elezioni si sono svolte con la cornice di sicurezza garantita dalle ANSF e nessun seggio è stato chiuso in conseguenza di un attacco. L'affluenza alle urne è stata elevatissima, specie quella femminile nella regione Ovest. I nemici dell'Afghanistan, anche se continuano a operare con attacchi terroristici spesso con gravi perdite per le ANSF, sono stati sconfitti. Infatti nessuna parte del territorio afghano è controllata dagli insorgenti, che si limitano ad attaccare check point che poi sono costretti ad abbandonare. La popolazione locale, a meno di ricatti o minacce, non supporta i Talebani, e in molti casi si rivolta alle angherie di richieste forzate di sovvenzioni.
Vi è dunque una maggiore autonomia nel contrasto delle minacce e nella propria difesa, da parte della popolazione. Secondo lei, vista la situazione attuale, cosa genera preoccupazione negli afghani?
La fiducia della popolazione nelle ANSF, specie dopo le elezioni è cresciuta enormemente. Certo molto rimane ancora da fare, e il ritiro delle forze della coalizione viene visto con preoccupazione sia dal governo che dalla popolazione. Al di la della naturale conclusione della missione NATO che, se dovesse essere confermata, avverrà comunque nel 2016, ciò che ora costituisce motivo di ansia è l'elezione formale del nuovo Presidente, che tarda a essere formalizzata perchè entrambi i candidati si rifiutano di accettare il risultato elettorale, denunciando brogli in alcuni seggi. Se questo stallo politico non dovesse essere risolto in tempi brevi, non solo non sarà possibile garantire l'assistenza alle ANSF fino al 2016 (il nuovo Presidente dovrebbe firmare infatti il Bilateral Security Agreement che costituisce il quadro giuridico di riconoscimento delle Forze della coalizione nel territorio afghano), ma l'incertezza conseguente potrebbe vanificare molti sforzi che finora sono stati fatti a favore della sicurezza e delle ANSF.
Lei è da sempre un ottimo comunicatore. Può spiegarci quanto ha contribuito la comunicazione nelle attività della Brigata, in particolare all’estero, anche attraverso le media operations?
La comunicazione è tutto e tutto è comunicazione. Mi spiego. Sono convinto che le trasformazioni in atto nella Forza Armata abbiano sollecitato l’organizzazione ad affrontare in modo deciso e sistematico lo sviluppo e l’evoluzione delle proprie professionalità al fine di assicurare risposte coerenti con i nuovi compiti assegnati all’Esercito Italiano. Una organizzazione orientata all’innovazione non può prescindere dallo sviluppo di obiettivi comunicativi competitivi, indispensabili per la realizzazione di un cambiamento reale. Per questo motivo, in quanto gestori di risorse umane, sempre maggiore rilevanza assume tra i comandanti il tema delle competenze, intese come approccio e strumento per progettare ed accreditare il nostro “mondo”, quello delle armi, a fronte della varietà e della repentina mutevolezza di quello esterno. La comunicazione cambia, si evolve, si specializza ma non muta affatto il ruolo cruciale che gioca: quello dell’autorevolezza e dell’identificazione con la Forza Armata che sottolinea la necessità della figura del comandante-comunicatore, capace, cioè, di allineare i propri comportamenti alle necessità del momento, agli obiettivi ed alle priorità del sistema Esercito. Ci troviamo dinanzi a un momento autoreferenziale decisivo in cui il vero comunicatore istituzionale non può prescindere dal contenuto senza trascurare la forma. Il vantaggio sarà una maggiore chiarezza, ovvero una migliore informazione e una più ampia possibilità di scelta. La scelta di lavorare e di utilizzare la comunicazione come paradigma organizzativo che sa riconoscere e valorizzare le conoscenze e i comportamenti dei propri uomini, al fine di costituire presupposto indispensabile per sostenere i processi di innovazione coerentemente con gli obiettivi e le politiche fissate dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.
Già nel 2006, il generale Petraeus aveva chiarito alcuni punti d’azione, in collaborazione con l’antropologa Montgomery Mc Fate, teorica dello Human Terrain System (HTS)[1], mettendo in evidenza l’importanza di conoscere il sistema culturale delle popolazioni che vivono in teatro, che siano di tattica, d’intelligence o di altro. Secondo lei questo genere di conoscenza può fare davvero la differenza per il buon esito della missione?
Eccome! La recente missione afghana è la testimonianza più autentica e più calzante al riguardo. Nella condotta dei programmi di addestramento, di consulenza e di assistenza, abbiamo sempre filtrato le attività secondo codici comportamentali che non appartengono alla cultura del mondo occidentale né, tantomeno, agli eserciti di cui sono espressione. La professionalità dei nostri consiglieri militari è stata proprio questa: non sono stati bravi semplicemente perché hanno seguire un metodo. Sono stati empatici! E l'empatia non è solo una capacità innata, ma la si deve costruire giorno dopo giorno attraverso lo studio e la conoscenza culturale del terreno, meglio nota come “human terrain”. Le faccio un esempio. Noi diamo per scontato che dopo ogni attività operativa ci si riunisca per esporre le “lezioni apprese”, un momento utile a capire dove ci possono essere possibilità di miglioramento o evitare di cadere in errore. Nella cultura afgana, essenzialmente fatalista, l'errore è riconducibile più ad una volontà divina che al fattore umano. Ciò significa che non si dà valore alle lezioni apprese. Allora occorre veicolare il messaggio più idoneo e attinente alla cultura locale per affrontare la problematica. Un buon metodo da noi utilizzato è stato quello di organizzare una serie di incontri durante i quali i comandanti afghani descrivono la bontà dei risultati ottenuti dopo aver modificato alcuni loro comportamenti operativi.
Un buon Comandante è come un bravo padre di famiglia a cui guardare. Lei ha sempre accorciato le distanze per essere più vicino al suo personale: ha stretto le mani dei familiari e guardato negli occhi i bimbi dei suoi militari. E’ stato pesante convivere con la consapevolezza dei rischi a cui si andava incontro e la promessa di riportare tutti a casa sani e salvi?
La brigata “Sassari” si comanda con l’esempio, proprio come quello di un buon padre di famiglia. Di qui l’epiteto di “babbu mannu” (grande babbo) che i “Sassarini” del Primo conflitto mondiale affibbiarono al generale Sanna. Nessun peso può dunque gravare su un comandante quando l’unica promessa che ogni soldato formula è il solenne atto del giuramento, pronunciato davanti alla bandiera di combattimento affidata alle nostre unità militari, simbolo dell’onore dell’unità stessa, delle sue tradizioni, della sua storia. I Caduti della “Sassari”, di ieri e di oggi, lo testimoniano: è in nome di questi profondi ideali che hanno difeso e difendono gli interessi nazionali dimostrando, fino all’estremo sacrificio, l’assoluta fedeltà alle istituzioni repubblicane ed onorando il nostro motto “Sa vida pro sa Patria”.
Comandante in alcune sue dichiarazioni sulla stampa, lei ha parlato dei Sardi e di un quid irrinunciabile che caratterizza i “Dimonios”. Cos’ha trovato in questa popolazione e come hanno operato i suoi militari sul terreno?
I “Sassarini” di oggi sono soldati formati ed addestrati ai massimi livelli che sempre e dovunque, con dignitosa fierezza, antepongono il dovere, anche a rischio della propria vita. Uomini e donne preparati ma pur sempre custodi e testimoni dei valori identitari e dei radicati ideali ereditati da chi li ha preceduti: onore, lealtà, forte senso di appartenenza regionale e nazionale, “balentìa”, intesa come eroismo e coraggio autentico.
Il Generale Scopigno con la moglie, signora Rossella che indossa un custume tipico sardo (abito di Bitti). La bella signora Scopigno ha partecipato in qualità di ospite d'onore alla Cavalcata sarda, una delle principali manifestazioni folkloristiche della Sardegna.
Per concludere, quando un giorno racconterà la sua esperienza con la Brigata Sassari ai suoi bellissimi bambini cosa ricorderà?
Parlerò con loro della straordinaria tenacia di Rossella, moglie e madre dei miei figli, con la quale condivido amore, successi e sacrifici, momenti difficili e indimenticabili trascorsi in Sardegna al comando dei miei “Sassarini”. E poi gli spiegherò il significato delle strofe di “Dimonios”, il celebre inno della brigata “Sassari”, musica che attraverso le sue melodie esprime i sentimenti dell’animo delle persone semplici di questa terra.
[1]Staff di esperti tra militari e civili americani, hanno riconosciuto all’antropologia culturale (per la metodologia di ricerca e di analisi) una posizione valida nella pianificazione di operazioni militari “Counter insurgency population centric” (COINs), tanto che nel 2006, il generale David H. Petraeus, chiarì alcuni punti con dei capitoli del manuale “Counterinsurgency, FM-3-24”, realizzati in collaborazione con l’antropologa Montgomery Mc Fate, teorica dello Human Terrain System (HTS). Dopo questo sono seguiti altri lavori, come “A Counterinsurgent’s Guidebook – The application of COIN doctrine and theory” del 2011.
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